Le pietre d'inciampo a Padova

Le leggi razziali del 1938 privarono gli ebrei italiani dei diritti civili, emarginandoli e condannandoli all’invisibilità.
Nel settembre del 1943, con l’occupazione tedesca e la creazione della Repubblica Sociale Italiana, si passò alla loro deportazione ed eliminazione fisica nei campi di sterminio.
L’iniziativa delle “Pietre d'inciampo” dell'artista Gunter Demnig nasce
— contro l'oblio e il negazionismo — per ridare un nome a chi si voleva ridurre a numero.
Così, l'imbattersi nella pietra può essere una sosta per pensare.
Concretamente: viene incorporato nel selciato delle città dell’Europa, davanti all’ultima abitazione di una vittima, un blocco di pietra ricoperto da una piastra di ottone sulla quale sono incisi il nome della persona deportata, l'anno di nascita, la data, il luogo di deportazione e, se conosciuta, la data di morte.

Via Roma 48

Elia Gesess, Ada Ancona, Sara Simon Gesess

Elia Gesess, Ada Ancona, Sara Simon Gesess
Per gentile concessione di Sara Parenzo

Elia Gesess, ebreo russo fuggito dai pogrom e dalla rivoluzione bolscevica del 1917, si stabilisce prima a Udine poi a Padova.
Si sposa con Ada Ancona e ha due figlie: Lisa, nata nel 1922, e Sara Simon, nata nel 1937.
Il 16 dicembre 1943, Elia, Ada e Sara sono fermati al confine svizzero, portati in carcere a Sondrio e poi al Campo di Concentramento di Vo' Euganeo. Lisa, incinta, si salva perché da qualche tempo si è rifugiata sul monte Grappa con il marito e il figlio.
Il 17 luglio 1944 gli internati del campo di Vo' vengono portati a Padova. Per due volte Sara, grazie alla madre, riesce a sfuggire ai tedeschi, a Vo' e a Padova, ma entrambe le volte viene ripresa.
Il 20 luglio il pullman degli internati di Vo' con la famiglia Gesess parte da Padova e arriva a San Sabba.
Il 31 luglio la famiglia è deportata da Trieste ad Auschwitz.
Sara e Ada sono assassinate all'arrivo, il 3 agosto 1944. Elia muore a Dachau il 15 febbraio 1945.

Via Francesco Petrarca 15

La famiglia Foà

Mario Foà, Giorgio Amos Foà
Giulia Formiggini con i figli Vittorio e Giancarlo

Foto tratte dall’Archivio privato Rosy Angeli

La famiglia Foà è composta da Mario, rappresentante di tessuti, dalla moglie Giulia Formiggini e dai tre figli Giorgio Amos, Giancarlo e Vittorio.
Dopo l'8 settembre ‘43, iniziata l'occupazione tedesca, i Foà cercano di fuggire in Svizzera, ma il 25 novembre sono catturati dalla Milizia confinaria. Vengono detenuti nel carcere di Como e poi in quello di Milano, da dove il 6 dicembre sono deportati ad Auschwitz.
Giulia muore nel vagone durante il trasporto. Vittorio, di 9 anni, è assassinato all'arrivo al campo l'11 dicembre. Di Giancarlo, 13 anni, non si conoscono il luogo e le circostanze della morte. Giorgio Amos, il figlio maggiore di 16 anni, studente liceale, muore il 28 gennaio 1944 in luogo ignoto. Mario muore dopo il 17 aprile 1944, anch’egli in luogo ignoto.
Un paio d'anni dopo la fine della guerra, Primo Levi si reca da Vittorio Foà, padre di Mario, e lo informa di aver conosciuto ad Auschwitz suo figlio.

Via Roma 30

Marcello Levi Minzi

Marcello Levi Minzi
Archivio di Stato di Padova, Fondo Questura, b. 45

Dopo le leggi razziali del 1938, Elena Nora, la moglie di Marcello Levi Minzi, si trasferisce a Milano con i figli, studenti liceali, perché possano continuare a studiare nella scuola ebraica parificata della città.
Marcello rimane a Padova. Antifascista, già nel 1926 era stato minacciato pubblicamente dagli squadristi e il suo negozio di mobili era stato saccheggiato.
Da tempo sorvegliato dalla polizia, è arrestato il 4 febbraio 1944 in casa della famiglia Lazzari, in via Marsala, dove si è nascosto. Inizialmente trattenuto come politico, è poi mandato nel campo di Vo' Euganeo. Prelevato il 28 luglio dall’ospedale di Padova, dov’è ricoverato, è portato alla Risiera di San Sabba. Da lì è deportato ad Auschwitz il 31 luglio.
Viene assassinato all'arrivo, il 3 agosto 1944.
La moglie di Marcello riesce a passare il confine con la Svizzera nel febbraio 1944 insieme alla figlia e trascorre il resto del periodo bellico a Ginevra, dove già si trova l’altro figlio.

Gemma Bassani
Su concessione dell’Università degli Studi di Padova – Ufficio Gestione documentale. ASUP, Facoltà di Lettere e filosofia, Fascicoli di studente, Bassani Gemma, matr. 50/8

Nasce a Chioggia il 22 marzo 1911. Studia al liceo Tito Livio e si laurea in Lettere all’Università di Padova. Rimasta presto orfana dei genitori, abita con il fratello Giorgio, anch’egli insegnante di Lettere.
Con le prime leggi razziali del 1938, entrambi sono cacciati dalla scuola pubblica e continuano ad insegnare nella scuola ebraica organizzata dalla Comunità. Per guadagnare qualcosa, Gemma dà anche lezioni private di musica a Venezia.
Dopo essersi segretamente sposata con un non ebreo (i matrimoni misti erano vietati), è arrestata a Roma il 16 dicembre 1943, internata nel campo di Vo’ Euganeo e poi nella Risiera di San Sabba a Trieste.
Deportata ad Auschwitz il 31 luglio, sopravvive alla selezione.
Muore successivamente in data ignota.

Eugenio Coen Sacerdoti e Amalia Dina

Eugenio Coen Sacerdoti, Amalia Dina
Photo Archive Yad Vashem

Eugenio Coen Sacerdoti, rabbino di Padova dal 1936 al 1943, è una guida spirituale ed un uomo di raffinata cultura. Allievo di Mascagni al Conservatorio di Pesaro, professore di musica, è un grande interprete delle musiche antiche che canta con intonazione melodiosa.
Con l’inizio della persecuzione, il rabbino e la moglie Amalia Dina rimangono nascosti in una casa di campagna; poi, con altri quattro ebrei, tutti molto anziani e malati, trovano ricovero all’ospedale di Camposampiero.
In aprile, prima dell’arresto, avrebbero il tempo di fuggire
ma preferiscono consegnarsi ed essere internati nel campo di Vo' per ricongiungersi ai membri della loro Comunità.
Lunedì 17 luglio 1944, alle due pomeridiane, sono portati nelle carceri di Padova e dopo qualche giorno alla Risiera di San Sabba a Trieste, da dove sono deportati ad Auschwitz il 31 luglio.
Vengono assassinati all’arrivo, la notte del 3 agosto.

Oscar Coen

Di Oscar Coen,
non abbiamo foto

Oscar Coen vive per molti anni ad Alessandria d’Egitto, luogo di nascita, e poi per altri 15 in Francia, senza prendere mai la cittadinanza.
Nel 1936, arriva a Padova, che definisce “il Comune di elezione dei miei avi” e qui vive presso una famiglia.
Nel 1939 chiede la discriminazione con la motivazione che nel 1913, benché dispensato dagli obblighi di leva in quanto residente all’estero, è tornato spontaneamente a Padova per fare il servizio militare ed ha inoltre combattuto nella prima guerra mondiale.
La discriminazione gli viene rifiutata. È invece rinchiuso nei campi di concentramento per ebrei stranieri e apolidi, aperti in Italia dal 1940.
Il 19 novembre del 1943 è arrestato e portato in carcere a Padova, dove intanto è stato rimandato. All’apertura del campo di Vo’, il 3 dicembre 1943, è tra i primi ad esservi internato.
È deportato da Verona ad Auschwitz il 2 agosto e assassinato all’arrivo il 6 agosto 1944.

Guido Usigli

Di Guido Usigli,
non abbiamo foto

Guido Usigli, nato a Padova l’8 luglio 1873, abita in via S. Martino e Solferino 30. Vive solo. È di condizioni economiche modeste, di professione ha fatto l’usciere, ma, forse avendo perduto il posto in seguito alle leggi razziali, risulta, al momento dell’arresto, cameriere. È arrestato la prima volta nella sua abitazione da due agenti di P.S., nel pomeriggio del 4 dicembre 1943 ed internato nel campo di Vo’ il giorno successivo. È dimesso dopo una settimana, perché “di anni 70”, in base alla circolare del 10 dicembre che dispone il rilascio di ebrei ultrasettantenni, o gravemente malati o di “razza mista”. Tornato in libertà sotto vigilanza, è arrestato nuovamente dalla polizia tedesca nella retata del 30 luglio 1944. Il campo di concentramento provinciale di Vo’ è stato chiuso il 17 luglio, e Guido Usigli è incarcerato a Verona e da lì, il 2 agosto 1944, é deportato ad Auschwitz sul convoglio n. 14. È ucciso all’arrivo, il 6 agosto.

(Testo di Mariarosa Davi e Sara Parenzo)

Ester Giovanna Colombo

Di Ester Giovanna Colombo,
non abbiamo foto

Ester Giovanna Colombo, nata a Padova il 9 marzo 1927, abita in via S. Martino e Solferino 13, con il padre Ferruccio. Porta il nome della nonna paterna Giovanna Sattin, ariana. Grazie all’arianità della madre, Ferruccio Colombo, inizialmente arrestato e internato a Vo’, viene rilasciato il 9 febbraio 1944, come “appartenente a famiglia mista”. Propriamente, secondo i criteri di classificazione razzista, anche sua figlia non sarebbe da considerarsi ‘di razza ebraica’: essendo nata da padre ‘misto’ e da madre ariana, è di fatto ebrea solo per un quarto. Ma i suoi genitori non sono sposati e la mamma, Maria Boaretto, non l’ha riconosciuta alla nascita, e inoltre Ester Giovanna è cresciuta nella religione ebraica. Dopo essere vissuta per qualche tempo a Venezia, è arrestata con una zia il 2 dicembre 1943 a Olgiate Comasco, forse in un tentativo di fuga in Svizzera. Viene internata nel campo di Fossoli, da dove, il 21 febbraio 1944, in una lettera al Ministero dell’Interno tenta di far valere la sua “arianità ex madre”, chiedendo un supplemento d’indagine sulla sua condizione razziale in base a nuovi documenti probatori, e supplicando che intanto sia sospeso nei suoi confronti “ogni provvedimento di trasferimento”. La richiesta fa il suo corso, e dalla Questura di Padova il 16 marzo giunge la risposta: non risultando all’anagrafe la sua legittimazione da parte della madre, Ester Giovanna deve essere considerata “di razza ebraica” e non “mista”, né tantomeno “ariana”. Non sarebbe dunque stata liberata. Ma a quella data il tragico epilogo si è già compiuto. Il 22 febbraio, il giorno dopo aver consegnato la sua istanza al direttore del campo, Ester Giovanna Colombo è già stata caricata sul convoglio n.8 diretto ad Auschwitz, lo stesso in cui si trova anche Primo Levi. Non sopravvive.

(Testo di Mariarosa Davi e Sara Parenzo)

Alberto Goldbacher
Su concessione dell’Università degli Studi di Padova – Ufficio Gestione documentale. ASUP, Personale docente cessato, Professori di ruolo e incaricati, Goldbacher Alberto, b. 58 fasc. 3

Per un lungo periodo, Alberto Goldbacher è professore di Ingegneria presso l'Università di Padova.
Grande esperto di impianti elettrici, nella prima guerra mondiale aveva garantito il servizio dell'energia elettrica alla città di Verona e dagli anni venti era direttore della Società Elettrica del Veneto.
Quando, dopo le leggi razziali del ‘38, anche per lui il Senato Accademico decreta l'espulsione dall'Università, Goldbacher organizza a Padova, insieme al professor Levi, la scuola media e superiore ebraica.
Condotto nel Campo di Vo' il 3 dicembre 1943, liberato l'11 in quanto di "matrimonio misto", è arrestato nuovamente il 22 settembre 1944. È portato prima nel carcere di Padova, poi a Verona ed infine a Bolzano da dove viene deportato ad Auschwitz.
Qui è assassinato all'arrivo il 28 ottobre.

Augusto Levi

Augusto Levi
Photo Archive Yad Vashem

Augusto Levi, libero docente di Fisica alla facoltà di Medicina dell'Università patavina, quando viene espulso dall’insegnamento in seguito alle leggi razziali del 1938, organizza la scuola media e superiore ebraica a Padova e a Venezia. Permette così ai ragazzi di continuare gli studi sostenendo da privatisti gli esami per passare alla classe successiva. La scuola chiude dopo l'estate 1943, quando iniziano le deportazioni.
Il professore, la moglie Giovannina D'Italia e il figlio Alvise, liceale, fermati dai fascisti, sono portati al Campo di Vo' il 27 gennaio 1944, poi al carcere di Padova. Da qui vengono condotti a San Sabba e infine, il 31 luglio, deportati ad Auschwitz.
Augusto e la moglie vengono assassinati all'arrivo nella notte tra il 3 e il 4 agosto. Il figlio Alvise muore a Dachau il 19 dicembre 1944.

Giorgio Arany

Giorgio Arany
Su concessione dell’Università degli Studi di Padova – Ufficio Gestione documentale. ASUP, Facoltà di Ingegneria, Fascicoli di studente, Arany Giorgio, matr. 77/4

Giorgio Arany, figlio di Desiderio e di Caterina Goldberger, nasce
in Ungheria, a Györ, il 1° dicembre 1919.
Si immatricola a Padova nell'anno accademico 1937-1938
alla Facoltà di Ingegneria.
Nel 1938, non potendo continuare gli studi perchè ebreo straniero,
fa richiesta di un permesso speciale che prima gli viene negato
poi concesso per un cambio della legislazione.
Rimane però sempre sotto controllo.
Arrestato a Trieste il 6 marzo 1944, è detenuto prima a San Sabba,
poi nel carcere di Trieste.
L'11 luglio 1944 è deportato ad Auschwitz, dove muore in data ignota.

Nora Finzi

Nora Finzi
Su concessione dell’Università degli Studi di Padova – Ufficio Gestione documentale. ASUP, Facoltà di Lettere e filosofia, Fascicoli di studente, Finzi Nora, matr. 78/14

Nora Finzi nasce a Trieste il 28 agosto del 1919 da Samuele e da Jole Naschitz. Si diploma al liceo classico Dante Alighieri di Trieste
nel 1937, dove è allieva di Giani Stuparich.
Si iscrive alla Facoltà di Lettere di Padova nell'anno accademico
1937-1938 e si laurea nel giugno 1941 con voto 108/110 con una tesi
in Storia delle Religioni.
Torna a Trieste e qui è arrestata dai tedeschi il 4 dicembre 1943
insieme al padre, che, deportato ad Auschwitz il 7 dicembre,
muore l'11, al suo arrivo.
Nora è deportata ad Auschwitz il 6 gennaio 1944 e qui muore in data ignota.
Nel suo testamento, scritto nel 1934 e poi rivisto nel 1940, la giovane donna raccomanda, in caso di morte, di saldare il suo conto dal libraio
e si preoccupa dei suoi libri che, come scrive, "sono ciò che ho amato di più".

Giuseppe Kròo

Giuseppe Kròo
Su concessione dell’Università degli Studi di Padova – Ufficio Gestione documentale. ASUP, Facoltà di Scienze MM.FF.NN., Fascicoli di studente, Kròo Giuseppe, matr. 67/28

Giuseppe Kròo nasce a Budapest il 29 ottobre 1919 da Luigi, ebreo ungherese, e da Rachele Vàmos, sefardita.
Nel 1927 la famiglia si trasferisce a Fiume, dove il padre gestisce con un socio una farmacia.
Nel 1937 Giuseppe si iscrive ad Ingegneria a Padova.
Il 4 gennaio 1938 chiede il trasferimento a Milano.
La sua ultima residenza nota è Fiume: qui, il 27 marzo 1944, è arrestato in casa dai tedeschi insieme al padre, alla nonna materna ed al fratello minore Alessandro. La madre per un soffio riesce a salvarsi.
Deportati da San Sabba, arrivano il 30 aprile ad Auschwitz.
La nonna è subito mandata alla camera a gas. Il padre, ai lavori forzati con i figli, ma resiste solo per tre mesi.
Giuseppe muore durante l'evacuazione del campo dopo l'aprile del 1945.
Alessandro, sopravvissuto, sarà il testimone.

Paolo Tolentino

Paolo Tolentino
Su concessione dell’Università degli Studi di Padova – Ufficio Gestione documentale. ASUP, Facoltà di Lettere e filosofia, Fascicoli di studente, Tolentino Paolo, matr. 60/12

Paolo Tolentino nasce in Austria, a Graz, il 19 febbraio 1917 da genitori italiani. La madre è Anna Polacco e il padre Giuseppe è un giudice in pensione.
S'immatricola alla Facoltà di Lettere di Padova nell'anno accademico 1935-1936.
Il 7 novembre 1938 chiede il trasferimento all'Università di Roma perchè la famiglia ha spostato la propria residenza nella capitale.
È arrestato da italiani il 3 febbraio 1944. Da Roma è condotto prima a Verona e successivamente al campo di Fossoli fino al 26 giugno 1944, giorno della sua deportazione ad Auschwitz.
La data della sua morte è ignota.

Desiderio Milch

Desiderio Milch
Su concessione dell’Università degli Studi di Padova – Ufficio Gestione documentale. AGAPD, Lauree ad honorem studenti caduti nella prima e seconda guerra mondiale, «Milch Desiderio» 10/21

Desiderio nasce a Fiume nel gennaio 1923 da Emilio Milch, ebreo originario della Cecoslovacchia, e da Valeria Podzer, non ebrea. Essendo figlio di matrimonio misto, in base alle leggi razziali fasciste del 1938, non viene considerato ebreo. Può, dunque, dopo la maturità classica conseguita a Fiume nel 1940, immatricolarsi alla facoltà di Lettere e Filosofia di Padova nell'anno accademico 1940/41, anche se al momento dell'iscrizione deve comunque indicare nella scheda statistica che il padre appartiene alla "razza ebraica". Desiderio prosegue regolarmente gli studi fino al febbraio 1944 e sceglie anche l'argomento della tesi di laurea -un'analisi del dialetto fiumano- sotto la supervisione del professore Carlo Tagliavini, glottologo. Tutto cambia dopo l'armistizio italiano dell'8 settembre '43: a Fiume arrivano subito le forze tedesche di occupazione, il Litorale adriatico viene annesso di fatto alla Germania nazista ed inizia la caccia spietata agli ebrei italiani. Desiderio, forse su delazione di un fascista, il 20 marzo 1944 viene arrestato a Fiume con il padre Emilio, portato alla risiera di San Sabba a Trieste e da lì, il 29 marzo 1944, è deportato ad Auschwitz. Muore in data ignota a soli 21 anni, presumibilmente nell'autunno del 1944.

Via delle Piazze 26

Italo e Giuseppe Parenzo

Giuseppe Parenzo
Foto tratta dall'Archivio della famiglia Parenzo.
(Di Italo, non abbiamo foto)

Italo e Giuseppe Parenzo sono il primogenito e il terzogenito di Libero Parenzo e Anita Praga, genitori di cinque figli.
Libero, non ancora diciottenne, è volontario garibaldino, seguendo così l’esempio dei fratelli Alessandro e Vittorio e del cugino Cesare, che combatté sull'Aspromonte nel 1866 e fu senatore del Regno d'Italia — i Parenzo hanno dato, nel Risorgimento italiano, un notevole contributo alla liberazione e unificazione della patria.
Anita è nipote di Erminia Fuà Fusinato, poetessa, educatrice e patriota.

Italo nasce a Rovigo il 26 agosto 1883. Di se stesso scrive: “Di varia, se non profonda cultura”. Si laurea in Legge con pieni voti a Padova e in seguito lavora nel campo delle Assicurazioni. Rimane celibe, e lascia alcune pubblicazioni, tra cui uno studio di notevole mole sulle abitazioni popolari e qualche lavoro incompiuto.
Dopo una furibonda caccia all’uomo, l’1 dicembre 1943 è catturato dai repubblichini, in casa di una fedele domestica, Maria Nettani, che lo aveva nascosto.
È poi detenuto nel campo di Vo’ Vecchio, nel carcere di Padova e nella risiera di San Sabba a Trieste.

Giuseppe nasce a Rovigo il 12 dicembre 1886. Si sposa con Elda Vigevani di Parma, che muore a soli 35 anni nel 1923, lasciando il figlio Renato di appena sei anni — Renato, diventato avvocato, sposerà Lisa Gesess, unica superstite della famiglia Gesess.
Vive, insieme al fratello Italo, in Corso del Popolo 14, in una casa che verrà in seguito distrutta dai bombardamenti. Entrambi, dopo le leggi razziali, continuano, nel loro studio di Via Zabarella 30, l'attività professionale ma consentita solo in ambito ebraico, Giuseppe come ragioniere libero professionista e Italo come agente assicuratore, attivi anche nelle associazioni di sostegno agli ebrei.
Giuseppe è prelevato il 29 luglio 1944 dai tedeschi all’Ospedale di Padova, dove, gravemente malato, è ricoverato.

La notte del 31 luglio ’44, nel convoglio che da Trieste deporta ad Auschwitz gli ebrei padovani, ci sono anche Italo e Giuseppe Parenzo.
Arrivati ad Auschwitz la notte fra il 3 e il 4 agosto, non sopravvivono alla selezione.

Celina Trieste

Celina Trieste
Su concessione dell’Università degli Studi di Padova – Ufficio Gestione documentale. ASUP, Facoltà di Lettere e filosofia, Fascicoli di studente, Trieste Celina, matr. 152/7

Celina Trieste, nata a Padova il 20 settembre 1906, vive con il padre Moisè Eugenio, anziano e infermo, in una casa di corso Vittorio Emanuele 110, prospiciente Piazzale S. Croce (rinominato piazza Italo Balbo), con intorno il grande e magnifico parco disegnato da Jappelli, che, requisito alla famiglia dalle leggi razziali e lasciato in abbandono, viene subito dopo la guerra definitivamente espropriato e distrutto per far posto al quartiere di Città Giardino. La casa e il Parco Trieste sono, dal 1938, importante punto di riferimento per gli studenti della scuola ebraica, che lì si trovano per i doposcuola organizzati da Celina Trieste, con i laboratori di lavoro manuale e di arte, sotto la guida di Tono Zancanaro, di cui Celina è amica. Donna colta e attiva, Celina ha studiato al Tito Livio e negli anni del liceo è stata compagna di classe di Mario Todesco, divenuto poi professore dello stesso liceo, ucciso dai fascisti nel luglio del 1944, medaglia d’oro al valore civile della Resistenza. Celina si laurea nel 1932 in Lettere con indirizzo linguistico all’Università di Padova. Nell’ottobre del 1943, quando tutti gli ebrei sono costretti alla fuga o alla ricerca di un nascondiglio, Celina trova rifugio prima presso l’ospedale psichiatrico di Padova, e poi in quello di S. Clemente a Venezia. Da lì il 6 ottobre è prelevata dai tedeschi con altri cinque ricoverati ebrei, e portata a Trieste, alla Risiera di S. Sabba. Lì, dichiarandosi non in grado di sopportare il viaggio di deportazione, è uccisa alla fine di ottobre.

Mariarosa Davi e Sara Parenzo

Via Damiano Chiesa 4

La famiglia Ducci

Rodolfo Ducci, Luisa Hoffmann, Teo Ducci, Eva Ducci
Photo Archive Yad Vashem

I Ducci sono ebrei ungheresi. Rodolfo nasce a Budapest il 9 marzo 1887 in una famiglia alla quale suo padre Karl, con la sua attività commerciale, aveva assicurato un notevole benessere. Ungherese è anche la moglie di Rodolfo, Luisa Hoffman, nata a Szekesfehérvàr il 15 dicembre 1889.
Il 12 agosto 1913 nasce Teodoro (Teo).
Nel 1914, Rodolfo, mobilitato dall’esercito austro-ungarico, parte come sottotenente per il fronte russo, dove combatte per quattro anni guadagnandosi due medaglie al valore e tre promozioni. Tornato
a Budapest, incorre in un increscioso episodio di antisemitismo. Disgustato, decide di abbandonare per sempre l’Ungheria e di stabilirsi in Italia, “per assicurarmi — scriverà Teo parlando del padre — un avvenire che non mettesse mai in pericolo il mio essere ebreo”. Giunge così ad Abbazia (Opatija), diventata italiana, dove già soggiornavano per cure la moglie e Teo. Qui, i coniugi avviano due distinte attività commerciali.
Il 26 dicembre 1922 nasce Eva.
Nel 1925 la famiglia ottiene la cittadinanza italiana e qualche anno dopo, forse nel 1929, si trasferisce a Padova in Via Damiano Chiesa 4. Nel 1933 il cognome originario Deutsch è italianizzato dal fascismo in Ducci.
Teo si laurea nel 1939 a Ca’ Foscari di Venezia in Scienze applicate alla carriera diplomatica. Poiché le leggi razziali gli impediscono di avvicinarsi a questa professione, si trova un lavoro nella ditta del padre e un altro come rappresentante di materiali d’imballaggio.
Eva frequenta il Tito Livio, che — sempre perché ebrea — è costretta ad abbandonare terminato il ginnasio. Dopo due anni, nel 1940, ottiene anticipatamente, a soli diciassette anni la maturità come privatista della Scuola Ebraica. Neanche a lei è permesso di continuare gli studi e di lavorare. Gli anni fino alla cattura sono anni “sprecati nel mio corpo e nel mio spirito” (Diario di Eva, 1 aprile 1943).
Dopo l’8 settembre, la famiglia è in una pensione a Venezia, e poi, per andare incontro agli alleati, a Firenze, dove alloggia alla pensione Crocini. Successivamente, si trasferisce in un appartamento messo a disposizione dal marchese Nicolò Antinori, dove, in seguito ad una delazione, la sera del 10 febbraio ’44 si presentano due italiani che li dichiarano in arresto. Al mattino dell’11 febbraio, quando compare un graduato nazista chiamato telefonicamente, vengono caricati su una camionetta e portati al carcere delle Murate.
Qui sono detenuti per quasi un mese e poi trasferiti nel campo di concentramento di Fossoli.
Il 5 aprile 1944, tutti e quattro sono deportati ad Auschwitz, dove arrivano il 10.
Rodolfo e la moglie Luisa vengono assassinati al loro arrivo.
Eva supera la selezione e viene portata nel campo di Birkenau (Auschwitz II) dove morirà per scarlattina nel luglio del ’44.
Anche Teo, che nella concitazione dell’arrivo al campo perde di vista i familiari, riesce a superare la selezione. Intuirà la fine dei genitori e non avrà più notizie della sorella, che non rivedrà.
Rimane nel lager fino al 18 gennaio 1945, quando i tedeschi, incalzati dall’avvicinarsi delle truppe sovietiche, iniziano l’evacuazione di Auschwitz per cancellare le prove della Shoah. E Teo viene costretto ad intraprendere, insieme alla colonna di deportati, una lunga marcia, sempre di notte perché i nazisti vogliono che nessuno veda, sia a piedi che su carri merci scoperti, che lo porta dopo dieci giorni a Mauthausen. Qui, ormai totalmente prostrato nel fisico, viene liberato dagli americani il 5 maggio 1945.
Dopo essere rimasto ricoverato per quasi due mesi nell’ospedale da campo allestito in quel luogo, rientra in Italia, a Firenze, ospite della pensione Crocini, poiché la casa di Padova è stata requisita.
Nel dopoguerra, parallelamente all’attività di dirigente d’azienda, svolge un’intensa opera per la conservazione della memoria della Shoah sia con la pubblicazione di libri ed articoli sia con la partecipazione alle attività dell’Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi (ANED) di Milano, per la quale gli viene conferita il 22 dicembre 199 la medaglia d’oro della Provincia di Milano.
Muore il 12 novembre del 2002.

Via Giovanni Prati 7

Giulio, Ada e Irma Ancona

Giulio Ancona, Ada Levi, Irma Ancona
Per gentile concessione di Ada Ester e Maria Antonietta Ancona

Nel 1943, la famiglia Ancona — composta da Giulio, tappezziere, nato a Padova il 29 febbraio 1872, dalla moglie Ada Levi, anche lei nata nella stessa città il 19 aprile 1874, e dalla figlia Irma, nata il 12 ottobre 1903 — vive a Padova in Via Prati 7.
I tre figli maschi, Leone, Edgardo ed Enrico, da tempo non abitano più con i genitori. Altri due figli erano morti in tenera età.
Il 3 dicembre 1943, Giulio, che ha settantuno anni, è arrestato e portato nel Campo di Vo' da agenti di P.S.
Il pomeriggio del 4 dicembre, anche la moglie Ada, inferma, e la figlia Irma, che la accudisce, sono prelevate dalla loro casa e trasferite a Vo' il giorno successivo.
Il 10 dicembre 1943 il capo della polizia Tamburini emana una disposizone che esenta dall'internamento i malati gravi, gli ultrasettantenni e i coniugati con ariani. Grazie ad essa, l'11 dicembre '43 Giulio viene dimesso dal campo ma non può rientrare nella propria abitazione sequestrata insieme a tutti i suoi beni.
La moglie Ada, che il 19 aprile del 1944 avrebbe compiuto settant'anni, facendo riferimento a tale disposizione, l'11 marzo inoltra al Questore la richiesta di avviare la pratica del suo rilascio, aggiungendovi la supplica di liberare anche la figlia Irma, l'unica in grado di assisterla.
Quando il 22 aprile il Questore autorizza il direttore del campo a rilasciare Ada ma non la figlia, la madre rinuncia alla libertà e preferisce restare nel Campo con Irma.
Il 17 luglio, insieme a tutti gli internati, le due donne sono trasferite dai tedeschi nel carcere di Padova, poi alla Risiera di San Sabba.
Il 30 luglio, i tedeschi scatenano a Padova una caccia feroce agli ebrei che si erano avvalsi della disposizione di Tamburini. Giulio Ancona viene prelevato all'ospedale nella seconda di queste retate. Viene trasferito in carcere a Padova, poi a Verona da dove il 2 agosto parte per Auschwitz.
Il 3 agosto, Ada e Irma, che erano partite con il convoglio degli ebrei padovani il 31 luglio, arrivano ad Auschwitz. Il 6 agosto, con un convoglio successivo, arriva anche Giulio.
Nessuno dei tre sopravviverà allo sterminio.

Piazza del Santo

Padre Placido Cortese

Padre Placido Cortese
Foto tratta dall’Archivio Messaggero di S. Antonio

Nicolò Cortese, nato a Cherso il 7 marzo 1907, entra nel Collegio dei frati minori conventuali a Camposampiero nel 1920, professa i voti perpetui come Fra Placido nel 1928 e nel 1930, completati gli studi teologici a Roma, viene ordinato sacerdote. Nel 1937 è a Padova. Qui dirige per sette anni il mensile “Il Messaggero di Sant’Antonio”, svolge il servizio pastorale nella Basilica del Santo e dal 1942 fa opera di assistenza ai prigionieri di guerra sloveni e croati, internati nel campo di concentramento situato in una caserma d’artiglieria a Chiesanuova, periferia di Padova. Dopo l’8 settembre 1943, Padre Cortese diventa un importante punto di riferimento della rete partigiana clandestina FRA-MA (dal nome dei due noti professori universitari Franceschini e Marchesi) che, da Padova, attraverso Milano, porta in salvo in Svizzera centinaia di persone ricercate dai nazifascisti (ebrei, soldati alleati allo sbando e altri). Per molti mesi Padre Placido contribuisce a fornire gli indumenti e il denaro necessari e a produrre i documenti d’identità contraffatti, usando le foto portate dai fedeli presso la tomba di Sant’Antonio. Fino a quando le S.S. naziste, scoperta la sua attività grazie a spie infiltrate, decidono di arrestarlo. La domenica 8 ottobre 1944, con l’inganno, lo fanno uscire dalla basilica, aspettano che superi il sagrato, territorio pontificio, lo caricano su un’auto e lo portano nella sede della Gestapo di Piazza Oberdan a Trieste. Muore per le torture subite verso la metà di novembre del 1944. Il suo corpo viene probabilmente bruciato nel forno del crematorio della Risiera di San Sabba a Trieste.

Via dei Fabbri 3

Paolo Shaul Levi

Paolo Shaul Levi
Foto tratta dall'Archivio Fondazione CDEC

Paolo Shaul Levi nasce a Padova il 9 gennaio 1904 ed è il secondogenito di Cesare e Noemi Levi, genitori anche di Lucia (1903) e di Clara (1909). Il padre, insegnante di Scienze al liceo Tito Livio, muore nel 1929 e la madre nel 1933. Le sorelle, laureate in Lettere, si avvicinano al Sionismo e nel 1939, dopo essere state cacciate dall'insegnamento a causa delle leggi razziali, emigrano in Libia, a Tunisi. Paolo si diploma, come le sorelle, al Tito Livio.
Si laurea brillantemente in Giurisprudenza nel 1926 e subito si iscrive a Scienze Politiche, senza però completare questo corso di studi.
Ha interessi culturali ampi: scrive recensioni di saggi e romanzi sulla rivista ebraica "Israel" ed è amico di artisti. Non ci sono notizie certe in merito alla sua professione. Dalla testimonianza della padovana Ada Levi, sappiamo che era omosessuale ma per tale motivo non è mai perseguito dal fascismo, che manda gli omosessuali al confino.
Dopo la partenza delle amate sorelle, di Paolo, rimasto solo a Padova, si perdono le tracce. Nel 1940 è internato nel campo per "ebrei pericolosi" di Gioia del Colle. Il 16 giugno viene arrestato come "disfattista" perché contrario all'entrata in guerra dell'Italia. Da lì, passa al campo di Isola del Gran Sasso, dove nel 1943, dopo la caduta del fascismo, è liberato. Tornato in Veneto, il 5 dicembre dello stesso anno, dopo la nascita della Repubblica Sociale, viene arrestato a Chioggia, è detenuto a Venezia e portato poi nel campo di raccolta di Fossoli il 31 dicembre.
Durante questi anni di reclusione, usa le sue conoscenze legali per aiutare gli altri detenuti. Il 22 febbraio 1944 con il convoglio numero 8 — lo stesso di Primo Levi — viene deportato insieme a 650 prigionieri ad Auschwitz, dove, arrivato il 26, non supera la selezione.